Durante Atlas of Transitions Biennale 'Right to the City | Diritto alla Città' (15-24 giugno 2018, Bologna, Italia), la radio artist Anna Raimondo presenterà la performance '(In)visible Radio Creatures#2_happening radiofonico transgeografico'.
In questa intervista Anna ci racconta della forza della voce e della visibilità e invisibilità che si sperimenta quando si vive in condizione di clandestinità.
D: Hai viaggiato molto e vissuto in diversi Paesi… ma quanto c’è di Napoli, della tua terra, in quello che fai e nella tua idea di arte?
R: Non parlerei di Napoli, ma della Campania, del sud Italia, del Sud in senso lato. Sicuramente porto la mia terra con me attraverso la mia voce, nella lingua con cui mi esprimo perché, anche se parlo quattro, cinque lingue diverse, le parlo tutte con l’accento napoletano. Credo che questo sia parte del mio percorso artistico, dove lavoro con la mia voce e attraverso la traduzione, ma sempre a partire dalla mia lingua, dal mio modo di esprimermi. Poi – e non vorrei essere banale – credo che il fatto di essere campana mi abbia permesso una vicinanza, una prossimità al Marocco, dove per diversi anni ho lavorato e continuo a lavorare, e all’Africa in generale. E al sud America, se vuoi… insomma, al Sud. Quello che più mi attrae della mia cultura è questa grande flessibilità nella creazione della sfera pubblica, dello spazio pubblico. Questa idea di creare spazi per la collettività – una ricerca costante, spontanea, organica, fluida, informale –, un modo di aprirsi agli altri, di essere curiosi. Forse è davvero una caratteristica del Sud?
D: Che relazione c’è tra suono e voce e tra suono e lingua, al di là del messaggio esplicito che lingua esprime?
R: Sia la voce sia il suono hanno una valenza semantica, sempre. Indipendentemente dalla lingua, la voce comunica sempre qualcosa… attraverso un sospiro, un’esclamazione, un urlo… E il suono, anche non-vocale, come il vento che passa tra le foglie, i rintocchi di una campana, per esempio, esprime dei significati. Voce e suono hanno forma e sostanza. Ciò che hanno in comune è quindi la loro valenza semantica, e per me questo significa che in comune hanno anche una valenza formale. Per esempio, posso usare la voce come suono. Tutta la mia attività radiofonica parte dalla voce e, a volte, ne sgretola poi il senso… la lingua diventa musica, suono… Credo però che il punto sia che una voce è sacra, dietro c’è sempre una persona – dietro a un suono, no. Per questa ragione quando lavoro con la mia voce mi permetto interventi molto più radicali di quando lavoro con la voce di qualcun’altro. In realtà, ciò che m’interessa davvero è l’ascolto – la sua valenza estetica, formale e politica…
D: Nel progetto che stai realizzando per 'Right to the city | Diritto alla città', il festival di Atlas of Transitions, lavori sull’idea di clandestinità. Come la definisci? Come la interpreti?
R: Io non sono mai stata clandestina – non ho mai vissuto in prima persona questa condizione. Sono una migrante, ma ‘di lusso’, dato che decido io dove e come andare. Quindi, per sviluppare il progetto che presenterò durante il festival, (In)visible Radio Creatures#2, mi sono posta una serie di domande. Prima di tutto, cosa potrebbe significare, per me, essere ‘clandestina’. Tanto per cominciare, sarebbe una ‘condizione’ e non uno ‘stato’… non potrebbe dire, “io sono clandestina”… sarebbe piuttosto “in questo momento vivo in una condizione di clandestinità”… Tenere a mente questo è fondamentale. Poi, c’è l’idea di città, di cittadinanza, i diritti. Immagino che da clandestina mi porrei in uno stato di invisibilità… non devi essere troppo visibile - rischi sempre se sei troppo visibile, e non te lo puoi permettere, perché non hai i diritti per essere visibile. Ma allora che potenziale ha l’invisibilità? A partire dalla relazione tra visibilità e invisibilità ho iniziato ad incontrare persone che hanno vissuto o vivono la condizione di clandestinità per riflettere sulla loro esperienza nella città di Bologna e per sviluppare poi una riflessione più ampia nel mio lavoro.
D: Come hai scelto con chi parlare? Come si sono svolti gli incontri?
R: Silvia Bertolini ha lavorato con me nel ruolo di mediatrice. Come attivista e collaboratrice di Cantieri Meticci, conosceva personalmente i ragazzi e le ragazze che potevano essere coinvolti nel progetto. Il fatto stesso di incontrare queste persone è stato parte del processo creativo... Con loro ho discusso i temi su cui intendevo lavorare, camminando. Partendo dalla loro esperienza della città di Bologna, abbiamo parlato di ‘visibile’ e ‘invisibile’, che sono concetti che acquistano una valenza positiva o negativa a seconda del contesto. Per esempio, Moussa si sente invisibile a Palazzo d’Accursio, in piazza Maggiore, dove si ferma ad ascoltare la musica. Lì non incontra tanta gente, al contrario di ciò che accade sotto i portici, dove c’è sempre qualcuno che lo riconosce… Per Hamed, è piazza Verdi il luogo in cui si mostrano le frontiere tra visibile e invisibile. Lì ci sono gli italiani che si fermano a bere e a fumare, i marocchini che si fermano sotto i portici a guardare… i ragazzi africani che si mettono dietro ai bidoni della raccolta del vetro, per i fatti loro, che non parlano italiano… Tra loro ci sono delle frontiere invisibili e Hamed lo racconta ‘da invisibile’, la condizione da cui ha potuto osservare tutto questo… è diventato ‘visibile’, però, nel momento in cui un poliziotto gli si è avvicinato e gli ha chiesto i documenti… Quello che abbiamo analizzato durante gli incontri è stata proprio questa oscillazione tra visibile e invisibile.
D: Fino a che punto si spinge la critica politica di '(In)visible Radio Creatures#2'?
R: A me interessa raccontare il territorio attraverso le persone che lo abitano, semplicemente. E mi piace lavorare con le donne e persone gender-fluid perché m’interessa anche questo tipo di mappatura. Nel caso specifico di questo progetto, la questione non è stata ‘dare voce a’, un’espressione che detesto. Le persone hanno sempre una voce, è importantissimo sottolinearlo per me. Quello su cui sto lavorando è piuttosto amplificare la portata di queste voci, e lo farò in diversi modi… diffondendole attraverso la radio a livello locale e internazionale, per esempio. Forse la portata politica di questo progetto si trova anche nell’intenzione di proporre una rappresentazione delle persone che ho incontrato che non sia mediatica, pietistica, da vittime, per aprire un momento d’ascolto collettivo e di riflessione sul concetto stesso di clandestinità.
D: Come si articolerà la tua performance artistica durante il festival?
R: Ci saranno due momenti. Uno espositivo, in cui presenterò una serie di ritratti sonori, che sono il risultato degli incontri con Moussa, Hamed, Lamin, Jasmine, Mazen, Carlos e Zazà. In un secondo momento ci sarà un happening radiofonico, un programma radiofonico di un’ora in cui farò dialogare i diversi momenti delle interviste con un lavoro di scrittur. Sarà quindi una diretta radiofonica, con un pubblico in carne e ossa, quello dell’Arena del Sole qui a Bologna, da cui trasmetteremo, che potrà interagire in diretta durante il programma.
Ci sarà anche lo streaming, grazie al quale attiverò una geografia intima e professionale, di luoghi e persone che conosco personalmente, a Buenos Aires, Dakar, Bruxelles, Marsiglia, per esempio, città in cui ho lavorato e dove ho amici e 'spazi amici'. Qui ci sarà uno spazio di ascolto live, con un pubblico presente, attivo, che potrà a sua volta intervenire attraverso whatsapp vocali. Il programma sarà in varie lingue – italiano, francese, spagnolo, inglese… un live che condurrò con Chloé Despax, in cui proporremo frammenti di interviste, paesaggi sonori di Bologna, interventi vocali dagli spazi amici connessi, a cui ho anche chiesto di contribuire, di inviarmi una musica, una canzone, un paesaggio sonoro che risponda alla domanda "Come spiegheresti il concetto di ‘clandestinità’ quando questa parola non esisterà più?"...
D: Qual è la differenza tra radio e radio-art?
R: La radio può essere ‘mezzo radiofonico’, cioè diffusione radiofonica. Può essere ‘studio radiofonico’, ‘linguaggio radiofonico’... Linguaggio è la parola chiave per passare all’idea di ‘radio-art’... Gli elementi della radio sono pochi: la voce, il suono, la musica, i rumori, i paesaggi sonori, e il silenzio. Puoi metterli tutti insieme e farne, per esempio, un reportage, un programma di satira o di musica, oppure… un lavoro di creazione radiofonica. Quand’è che si passa alla creazione radiofonica? Quando dietro c’è un’intenzione artistica, quando i contenuti, i concetti che vengono espressi non hanno a che vedere con una ricerca di obiettività ma piuttosto con un’intenzione estetica, cioè con una ricerca formale intorno ai suoni e al modo di metterli in relazione. Nel mio caso questa intenzione è anche politica.
D: Cos’è, quindi, l’intenzione artistica? Una premeditazione, un impulso…?
R: Nel gesto, nell’espressione, c’è sempre intenzione… è come una molla. Senti, anche nel dire questa parola… in-tensione… sì, è come la molla per me. Indica una direzione, che però è vulnerabile, perché non sempre si finisce dove si vorrebbe... ed è diversa da un obiettivo… Nel caso di (In)visible Radio Creatures#2, l’intenzione è aprirmi a una condizione, quella di clandestinità, che io non vivo e quindi non conosco, che vivo ‘da fuori’, attraverso la rappresentazione che ne danno i media. Si potrebbe dire che lavorare su questo progetto è stato per me un pretesto per capire qualcosa che non conosco, e poi raccontarlo in modo diverso, soggettivo.
D: Parlami del nome che hai dato alla tua performance – (In)visible Radio Creatures#2?
R: ‘Creature radiofoniche’ è un’espressione che mi piace perché credo che siamo tutti, potenzialmente, creature radiofoniche… non bisogna essere giornalisti o artisti per fare radio, essere radio… Ci vuole la voce e l’intenzione di voler essere ascoltati. Creatura radiofonica è anche l’ascoltatore o ascoltatrice, e mi piace pensare che con questo happening creeremo una comunità trans-geografica. Il pubblico si troverà a casa propria ma anche in spazi pubblici, in luoghi diversi… Durante questa performance saremo tutti creature radiofoniche, e sarà il tempo dell’ascolto ad unirci, al di là delle geografie. Poi, ovviamente, si parlerà di visibilità e invisibilità, che è il tema del programma, e da qui il gioco ‘(in-)visible’… Chi fa radio è generalmente invisibile ma in questo caso, all’Arena del Sole, saremo visibili…
Intervista – Francesca Di Renzo